In questo articolo ho intenzione di parlarti di un dolce, di un conte e di un imperatore.
Il primo si chiama “gateau o biscuit de Savoie”, il nome del secondo è Amedeo VI (sempre di Savoia) e quello del terzo è Carlo di Lussemburgo o Carlo IV.
Le origini
La storia intreccia questi tre nomi perchè si racconta che il Conte, in tenuta di gala e a cavallo, offre al suo ospite un enorme dolce.
In questo dolce sembra esserci raffigurato il castello di Chambery, circondato da una corona di monti innevati con sopra il diadema imperiale.
La data di questo incontro è poco chiaro ma potremmo trovarci nel 1348: il conte, poco più che bambino, ospita il pretendente alla corona e di passaggio in Savoia Carlo di Lussemburgo.
Ad ogni modo, le strade della dinastia sabauda e quella del gateau o biscuit sono indissolubilmente legate e il caratteristico impasto spugnoso a base di “uova, zucaro e farina” (meglio noto come pasta savoiarda) ha mantenuto due versioni, una in terra francese e una più famosa in terra piemontese.
Il savoiardo piemontese
Friabile, leggero e nutriente, quello che apprezziamo è il biscotto ufficiale dei piccoli eredi di Casa Savoia.
Tuttavia, l’impasto migliora e si evolve a partire dal ’700, ed è grazie a questa evoluzione che il biscotto raggiunge la fama attuale.
Infatti, i pasticcieri scoprono che dividendo i tuorli dagli albumi e poi montandoli e unendoli separatamente al resto degli ingredienti, la pasta assume un aspetto più aereo.
La ricetta così attualizzata viene trascritta anche da Alexandre Dumas, romanziere e fine gastronomo, nel suo Grand Dictionnaire de la cuisine (1873) che cita sia il biscotto di Savoia (da preparare con 12 uova) sia i savoiardi (suggerisce di farli con una pasta più leggera e con le stesse quantità di zucchero, farina e fecola del cugino d’Oltralpe ma con 16 uova).
La versiona sarda, molisana, ligure e siciliana
I savoiardi seguono la dinastia sabauda ovunque e quindi si diffondono in Sardegna con una variante che prevede meno uova: i biscotti di Fonni risultano infatti lunghi e snelli mentre i pistoccus più larghi e corti.
Prendono il nome di prestofatti in Molise e caporali in Liguria.
In Sicilia i biscotti giungono durante la prima dominazione sabauda (1713 – 1720), reinterpretati dai pasticcieri dell’isola con meno uova rispetto alla versione sarda.
Nel trapanese diventano saviarda, a Caltanissetta raffioli, biscuttina nell’ennese e in altre parti firrincuozzu.
La rapida diffusione in tutta l’Italia (che non era ancora unita) passa anche per Cavour (che ne è davvero ghiotto).
Dal ‘900 fino ai giorni nostri i savoiardi accompagnano uno dei dolci più buoni del mondo, il tiramisù.
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