Il Cavallino in Villa

Un semplice testa a testa tra due eterne glorie della cucina romana molto diverse tra loro

È tempo di rispolverare due tra le ricette più famose legate a due piatti della tradizione Romana che vedono protagonista un ingrediente straordinario come il carciofo: i carciofi alla giudia ed i carciofi alla romana.

La stessa cucina tradizionale del Cavallino in Villa, per esempio…

Cominciamo con i carciofi alla giudia, variante molto particolare dei carciofi fritti: qui i carciofi, in sostanza, vengono lasciati interi e puliti “a rosa”, conservando la parte finale del gambo.

I carciofi vengono immersi in acqua e limone per una decina di minuti e poi asciugati accuratamente, battendoli su un ripiano per favorirne l’apertura delle foglie.

Adesso si immergono i carciofi in una pentola con molto olio extravergine d’oliva, tanto da ricoprire interamente i carciofi. Bisogna fare attenzione, però, a sollevare i gambi quando sono cotti, lasciando i carciofi a testa in giù.

Dopo circa 10 minuti di frittura i carciofi vengono scolati e disposti a testa in giù su una teglia, dove verranno conditi in seguito con sale e pepe.

Una volta raffreddati si può passare all’apertura della “rosa”, aprendo le foglie delicatamente e condendo anche l’interno con sale e pepe, cospargendoli poi di vino bianco così da rendere le foglie più croccanti.

A questo punto avverrà la seconda frittura, immergendo nuovamente i carciofi nell’olio a testa in giù (lasciando fuori il gambo) per un minuto.

Il nome sulle origini di questa ricetta é chiaro: i carciofi alla giudia nacquero dal mix tra la cucina ebraica e romana nel lontano XVI secolo.

Le massaie preparavano questa pietanza subito dopo il digiuno della festa del Kippur. Tuttavia, “alla giudia” potrebbe indicare semplicemente un sinonimo di carciofo fritto, vista la diffusione della frittura – perché l’olio era un lusso per pochi – nella gastronomia ebraica di quel tempo.

A Roma, nel ghetto, convivevano ebrei romani e di origine spagnola, siciliana e meridionale, che diedero vita ad una gastronomia unica nel suo genere.

I carciofi alla romana sono molto diversi.

L’ingrediente di base, i carciofi romaneschi o mammole, è identico. Vengono puliti e tagliati alla stessa maniera, scavando però la corolla al centro in modo da consentire al carciofo di ospitare un ripieno a base di mentuccia, prezzemolo, aglio, olio, sale e pepe.

Il pangrattato sembra essere una variante di epoca successiva. A questo punto i carciofi verranno farciti e, sempre a testa in giù, adagiati in un tegame con olio extravergine d’oliva, acqua e un goccio di vino bianco.

La cottura dura circa mezz’ora e si aggiunge acqua di tanto in tanto. Di questa ricetta esiste anche una versione al forno. Si tratta della versione “povera” dei carciofi alla giudia, frutto di un tempo in cui l’olio d’oliva era un lusso per pochi.

Le origini sono da rintracciare, anche qui, nel XVI secolo: in epoca rinascimentale, proprio in Italia, venne perfezionata la domesticazione del cardo, da cui nacque il carciofo.

Dalla Sicilia si diffuse in tutta Italia, sbarcando a Napoli e poi in Toscana, dove giunse nel 1466 per merito del banchiere Giuseppe Strozzi il Vecchio.

Non tutti, nel Centro-Nord, lo apprezzarono: “Durezza, spine e amaritudine molto più vi trovi che bontade”, scriveva l’Ariosto, nonostante in molte corti rinascimentali venissero associate al carciofo delle doti afrodisiache.

Bisognerà aspettare Bartolomeo Scappi per la prima ricetta dei carciofi ripieni e soprattutto Caterina de’ Medici, grande appassionata di questo “nuovo” ingrediente che fece conoscere anche in Francia.

Fu a Roma, però, che il carciofo trovò la sua consacrazione, come testimoniato da un episodio curioso che coinvolse il Caravaggio.

Il pittore geniale era noto per il suo brutto caratteraccio: un giorno, nell’anno 1604, Caravaggio si trovava a Roma, all’Osteria del Moro. Amava frequentare i bassifondi, ed era un autentico attaccabrighe. Ordinò dei carciofi, ma il garzone glieli portò mischiati: alcuni cotti nell’olio, altri nel burro.

Quali sono gli uni, e quali gli altri? “Basta odorarli”, rispose l’incauto garzone. Apriti cielo.

Il Caravaggio gettò i carciofi in faccia al garzone, sguainando la spada e inseguendo il poveraccio per tutta l’osteria!

Da qui nacquero i “carciofi alla Caravaggio”, molto simili ai carciofi alla romana, in cui il condimento si inserisce semplicemente tra le foglie.

Come ogni ricetta tradizionale esistono piccole varianti. Ad ogni modo, il segreto per un risultato a regola d’arte è pulire i carciofi alla perfezione, così da eliminare le parti dure ed ottenere un cuore tenero.

Al Cavallino in Villa proponiamo le nostre pinse con questo ingrediente sublime.

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